Perché Tarantino (per noi)
Tarantino non filma solo storie: monta memorie. Le sue inquadrature sono jukebox di cinema, tv e cultura pulp. Quando lavoriamo su di lui l’obiettivo non è replicare una scena, ma cristallizzare il suo metodo: tagliare, spostare, citare, sorridere mentre fa male.
L’oggetto come regia
Scegliere un singolo dettaglio, l’orecchio, è stata una decisione di regia, non di cronaca. Riducendo a segno ciò che nel film è azione, lasciamo spazio al fuori-campo: tutto ciò che non vedi, lo immagini. Il bianco intorno è il nostro silenzio, come una pausa musicale prima del riff. La tipografia sporcata di rosso è il montaggio: un jump cut cromatico che tiene insieme riso e disgusto.
Musica, ritmo, ironia
In Tarantino la violenza danza con la musica. L’opera gioca sullo stesso paradosso: la colata rossa scende a tempo, quasi fosse una battuta di batteria. Ci interessa quel confine ambiguo in cui il pubblico si chiede “posso ridere?”, la stessa domanda che Tarantino ci mette addosso.
Etica dell’inquadratura
Non c’è compiacimento: c’è distanza critica. Portare il dettaglio fuori dalla cornice è un modo per far vedere l’artificio. È come dire: “quello che guardi è cinema”, e il cinema, a volte, è un trucco che rivela verità.
Per chi è
Per chi colleziona registi prima ancora che film. Per chi ama lo humour nerissimo, la cultura citazionista e le immagini-affiche che restano in testa.
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